Tutto divenne commercio

marxVenne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio.

Karl Marx

L’Azerbaigian si avvicina all’Unione Economica Eurasiatica?

Azerbaigian 1 Ogni settimana vengono pubblicati articoli su siti e giornali occidentali che parlano dell’Unione Economica Eurasiatica come un progetto ormai finito, con una Russia in recessione, un’Ucraina ormai sempre più nell’orbita occidentale (NATO), una Bielorussia e un Kazakistan preoccupati del clima da nuova “guerra fredda”.  Nonostante ciò l’UEE non sembra conoscere alcuna battuta d’arresto, anzi.
Dopo l’ingresso dell’Armenia e del Kyrgyzstan, l’UEE mira a comprendere altri Stati appartenenti un tempo all’ex Unione Sovietica.
Il Presidente russo Vladimir Putin mesi fa ha concesso all’Uzbekistan la cancellazione di gran parte del suo debito verso Mosca. Tale mossa può essere vista come un tentativo da parte del Cremlino di convincere Tashkent ad avvicinarsi all’Unione Economica Eurasiatica. Nel frattempo partita una consultazione sulla creazione di una zona di libero scambio tra Uzbekistan e UEE [1]. Ad incidere probabilmente sulle future scelte del governo uzbeko sarà anche il fatto che Mosca e Astana rappresentano rispettivamente il secondo e il terzo partenr commerciale dell’Uzbekistan dopo Pechino (dati aggioranti al 2014).
Come  l’Uzbekistan, anche il Tagikistan sembra avvicinarsi sempre più  all’UEE [2]. Anche per questo paese Russia e Kazakistan rappresentano due tra i principali partner economici.
Più complicata invece è la questione dell’Azerbaigian.
Baku, già nella primavera del 2014, si espresse in maniera contraria ad un suo ingresso nell’Unione Economica Eurasiatica [3]. La presa di posizione arrivò dopo che l’Armenia aveva invece optato per l’adesione.
Ultimamente il governo azero sembra voler tornare ad aprire un dialogo con i rappresentanti dell’UEE. “Mai dire mai” è l’espressione usata dal suo Ministro degli Esteri su una possibile adesione dell’Azerbaigian all’Unione [4].
Pur riconoscendo la partecipazione dell’Armenia come un ostacolo, la non chiusura da parte del ministro azero fa ipotizzare l’apertura di un confronto tra le parti per valutare una possibile adesione di Baku all’Unione Economica Eurasitica.
La volontà russa di collaborare con la Cina per la realizzazione della Nuova Via della Seta promossa da Pechino, rappresenta una chiara dimostrazione di come l’edificazione dell’Unione Economica Eurasiatica voglia servire ad approfondire il legame tra i paesi membri senza per questo ostacolare le relazioni dei suoi membri con altri Stati esteri.


[1] http://www.askanews.it/nuova-europa/mosca-propone-a-uzbekistan-maxi-condono-debito_71171116.htm
[2] http://www.cacianalyst.org/publications/field-reports/item/13113-tajikistan-paves-the-way-to-eurasian-union.html
[3] http://agccommunication.eu/geoeconomia-it/145-caucaso/7662-armenia-azerbaijan-euroasia
[4] http://sputniknews.com/politics/20151001/1027825950/Azerbaijan-Eurasian-Union-Membership.html

“Ci vuole più Europa” cit.

europaProblemi di democrazia? “Ci vuole più Europa”. Problemi di integrazione? “Ci vuole più Europa”. Problemi economici? “Ci vuole più Europa”. Problemi sociali? “Ci vuole più Europa”.
In pratica la parola Europa è un jolly. Quando manca un qualcosa si aggiunge la parola Europa e il discorso quadra alla perfezione.
Poi ognuno può dare il significato che vuole alla parola Europa, tanto non sta scritto in nessun dizionario cosa vuol dire se non intesa come espressione geografica.
Cos’è l’Europa? Eviterò, per motivi di tempo, di ripercorrere gli ultimi millenni di storia e mi limiterò brevemente al XX secolo e ai primi anni di questo XXI secolo.
Nella prima metà del XX secolo, come Europa abbiamo appena scatenato le due peggiori guerre che questo pianeta abbia  mai conosciuto: la prima e la seconda guerra mondiale. Negli anni successivi, senza volersi soffermare sulla continuazione di politiche coloniali portate avanti da alcuni paesi europei, siamo stati terreno di scontro tra due paesi non europei, Stati Uniti e Unione Sovietica. L’autonomia, da ambo le parti, salvo rare eccezioni successivamente rientrate nei “canoni standard”, era pressoché nulla.
Crolla l’Unione Sovietica e i paesi europei si danno alla pazza gioia facendo saltare per aria uno dei più complessi e interessanti Stati europei, la Jugoslavia. Bombardamenti e massacri, ovviamente con a fianco gli “amici” di sempre (il governo USA), creano le basi culturali per l’Europa che si sta avvicinando al XXI secolo.
Rasa al suolo la Jugoslavia, incentivando odio etnico e religioso, l’Europa pensa bene di procedere, chi più e chi meno, a bombardare, o comunque destabilizzare, altri paesi considerati incivili.
Per citare gli ultimi esempi, basti pensare alla Libia resa un parcheggio da alcune aviazioni occidentali (aviazioni democratiche però eh!), alla minacciata invasione (invasione umanitaria, ci mancherebbe) della Siria (quest’ultima difesa fortunatamente da Iran, Russia e Cina) o all’appoggio ai nazifascisti ucraini i quali si divertono ad ammazzare i propri (ex?) concittadini nell’est del paese per fare un favore a qualche pazzo fanatico occidentale.
Nei momenti di difficoltà interna poi è ancora più imbarazzante il comportamento europeo. Un paese soffre economicamente (ad esempio la Grecia)? Ottimo, è il momento di presentarsi là in posizione di forza e costringerlo a svendere il proprio patrimonio. Un paese è in difficoltà per il flusso migratorio (migranti che scappano dopo “l’arrivo della democrazia” esportata da USA e UE)? Lasciamo che si arrangi e poi, da qualche conferenza stampa in un qualche palazzo di vetro, lo accusiamo di nazismo e fascismo perché si trova ad affrontare un problema più grande di lui.
Ora, onestamente, ma quale “più Europa” volete? Quella che non esiste a quanto pare.
Chissà se domani un australiano si sveglierà e dirà “ci vuole più Oceania”. Tutti si domanderanno “cioè?”.
Ecco, forse sarebbe ora e tempo che qualcuno, quando sente la solita filastrocca del “ci vuole più Europa”, chieda “e cioè?”.

Unione Balcanica via d’uscita dalla crisi dell’area?

nuova jugoslaviaMesi fa, sempre su questo blog, scrissi: “il risorgere di una federazione di Stati sarebbe forse una delle migliori soluzioni per quei paesi” [1]. Ora provo a dare forma ad un’analisi del perché scrissi tale frase.
In un articolo pubblicato il 12 marzo 2012 su “Il Piccolo” [2] si può leggere come, secondo dei sondaggi, il 69% dei serbi, il 60% dei montenegrini, il 56,3% dei bosniaci (con una punta dell’81% in Republika Srpska) e il 62% dei macedoni affermasse che si starebbe meglio se la Jugoslavia esistesse ancora.
Inoltre, opinione forse ancora più significativa, la maggior parte della popolazione, soprattutto in Serbia e in Macedonia, percepisce la comunità internazionale (Occidente n.d.r.) quale prima causa della disgregazione della Jugoslavia.
Proprio come accaduto in Unione Sovietica, il crollo del socialismo ha portato anche ad un collasso dell’unione delle repubbliche. A Mosca stanno provvedendo a rimediare all’errore costruendo, di giorno in giorno, l’Unione Economica Eurasiatica [3]. E sui Balcani?
Ufficialmente non c’è alcun percorso verso un’unione dell’area sotto un aspetto politico o economico, anche se tali progetti potrebbero portare vantaggi significativi ai Balcani, a cominciare da quelli occidentali, territorio occupato un tempo dalla Jugoslavia. Unica eccezione è la “Jugosfera” [3], ma ci tornerò in un secondo momento.
Analizziamo alcuni aspetti.
L’idea di uno spazio comune nell’area ormai ha quasi un secolo, quindi un progetto ben anteriore alla Jugoslavia socialista guidata da Maresciallo Josip Broz Tito. Un’idea che era volta ad affermare la sovranità degli slavi del sud in quell’area.
A distanza di circa cento anni quell’area, dopo aver abbandonato socialismo e unità, è tutto tranne che gestita realmente dagli slavi meridionali.
La gestione economica della zona non è in mano alla classe dirigente locale. Il modello è quello provato e riprovato dopo ogni “liberazione” dei paesi sotto un regime socialista: privatizzare il privatizzabile. E quindi ecco che solo se si privatizza si può ad accedere agli aiuti internazionali (occidentali).
In Serbia Vučić, protetto dall’UE, è stato messo là perché a Bruxelles sanno che non ha intenzione di far tornare il Kosovo sotto la bandiera serba.
In Kosovo si trova una base statunitense che è una delle più grandi (se non la più grande) in Europa. Difficile credere che le scelte di Pristina siano indipendenti. Possibile certo, ma decisamente poco credibile.
Può piacere o meno, ma oggi come oggi nei Balcani di indipendente ci sta ben poco.
E qui riprendo il concetto di “Jugosfera”. La “Jugosfera” non è altro che lo spazio geografico occupato a suo tempo dalla Jugoslavia, e quindi Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro e Macedonia.
Il termine venne coniato nel 2009 da Tim Judah, esperto di Balcani che scrive sull’Economist. Tale parola è motivata dal crescente avvicinamento in vari settori dei paesi dell’ex Jugoslavia. Esempi di questa crescente interazione sono la costituzione di società a capitale misto tra i vari paesi.
La costruzione di importanti reti di trasporto, create anche grazie all’aiuto della Repubblica Popolare Cinese, la quale spinge da sempre per una maggiore integrazione dell’area [4], non fa che incentivare questo processo
Tale unità dovrebbe essere perseguita anche per un’altra motivazione: uniti quei paesi verrebbe a crearsi un’entità da oltre 300 miliardi di dollari (PIL a potere d’acquisto)[5] che permetterebbe a tutti i paesi dei Balcani occidentali di poter contare molto di più nei vari contesti, in primis quello europeo.
Un problema, che potrebbe invece tramutarsi in un vantaggio, è la mancanza di un forte attore regionale. L’Unione Economica Eurasiatica ha Mosca. L’Unione Europea ha la Germania.
Nel territorio balcanico occidentale Croazia e Serbia hanno la medesima grandezza economica se si considera il PIL a parità di potere d’acquisto. Potrebbe essere positivo un sostanziale equilibrio tra due paesi politicamente e culturalmente molto diversi solo se si riuscisse a trovare un compromesso vantaggioso e positivo per entrambi.
La strada è lunga ma i vantaggi non sarebbero secondari.
Le giovani generazioni dei Balcani occidentali sono spesso desiderose di lasciarsi divisioni etniche e guerre alle spalle. Magari è già nata la generazione che realizzerà una “nuova Jugoslavia”.


[1] https://cercareilvero.wordpress.com/2014/12/19/nella-ex-jugoslavia-torna-a-sventolare-bandiera-rossa/
[2] http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2012/03/12/news/ridateci-la-jugoslavia-un-paese-unito-1.3281311
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Jugosfera
[4] http://www.limesonline.com/balcani-lamico-cinese/73671
[5] https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_GDP_(PPP)

Il Sacro Germanico Impero

impero tedesco 1La prepotenza tedesca ha sicuramente inferto un durissimo colpo alla Grecia di Alexis Tsipras ma ancor di più ha colpito il resto dell’Unione (economica) Europea.
Se è vero che la Germania non era sola in questa crociata contro “l’eretica” Grecia (basti pensare ai paesi facenti parte della Nuova Europa), è indubbio che meriti e/o colpe per quanto accaduto ricadranno quasi esclusivamente su Berlino.
Da sempre paladina del rigore (e austerità), la Germania si è sentita concretamente umiliata moralmente da quel poderoso 61,3% di votanti al referendum del 5 luglio che con una sola voce ha gridato OXI per tutte le strade della Grecia.
Circa una settimana dopo è arrivata la risposta tedesca, sebbene drasticamente differente dai primi annunci di Merkel&Co. Se all’inizio infatti si voleva Atene fuori dall’euro, il ripiegamento di linea tedesco (molto probabilmente su pressioni statunitensi, terrorizzati di vedere una Grecia  sempre più vicina all’orbita russa) ha portato alla luce la vera natura dell’UE: creare enormi stati senza sovranità dove le multinazionali (prevalentemente tedesche) si mettono a fare grandi acquisti, ricalcando quanto già fatto nei primi anni ’90 con la DDR [1].
Smantellamento delle grandi aziende strategiche locali, acquisizione di tecnologia e stabilimenti a prezzi stracciati (fare privatizzazioni in fasi simili vuol dire svendere il patrimonio pubblico per due lire, anzi, marchi), conseguente creazione di un enorme esercito industriale di riserva dove un tempo sorgeva una classe media.
Il disegno tedesco non è mai stato così chiaro: un centro economicamente e industrialmente avanzato, la Germania (la parte ovest soprattutto, dato che, nonostante i quasi 25 anni dall’annessione dell’Est da parte dell’Ovest, le condizioni tra una parte e l’altra del paese sono ancora diverse), e una serie di “paesi periferia” dove delocalizzare la produzione dal minor valore aggiunto. La Grecia è stato il primo paese a subire questo trattamento.
Il ruolo della Germania in Europa è decisivo. Lo ha dimostrato nel passato, lo dimostra nel presente e lo dimostrerà ancora di più probabilmente nel futuro.
Berlino guarda sempre più ad est (cosa positiva) [2] ma allo stesso tempo è convinta di poter essere un’isola felice in un mare di paesi (satelliti) che viaggiano tra stagnazione economica e tensione sociale crescente.
Se la Germania fosse davvero interessata alla guida di un’Unione Europea sovrana ed economicamente prospera, dovrebbe prendere per mano i paesi dell’UE, a cominciare da quelli dell’Eurozona, e portarli con sè a guardare verso i nuovi orizzonti che si delineano, e quindi a creare un incremento delle relazioni economiche, culturali, sociali e politiche con i paesi extra-UE, a cominciare da Cina e Russia.
Creare terre desolate e povere in varie parti d’Europa non può essere l’effetto collaterale della politica economica tedesca.
La necessità di controbilanciare lo strapotere tedesco e invitare Berlino ad una linea decisamente più europeista e meno germanocentrica deve essere obiettivo comune di tutte quelle forze politiche che auspicano una collaborazione alla pari tra tutti i paesi europei, senza distinzione in paesi di Serie A e paesi di Serie B.
Il Dio Mercato ha dimostrato in tutti questi anni la sua totale incapacità di creare un mondo più giusto ed equilibrato.
A ciò si aggiunge una fede (e non un ragionamento) diffusa in quasi tutta l’UE verso le decisioni provenienti da Berlino.
Un mix micidiale per un continente che sta diventando sempre più periferia del mondo senza neppure rendersene conto. Un impero decadente, dove si depredano le periferie per alimentare il centro. Un modello destinato a disintegrarsi.


[1] https://www.youtube.com/watch?v=f4ZzJUgQ2hg
[2] http://www.limesonline.com/il-triangolo-cina-russia-germania/77720

In costruzione l’Asse Grecia – Russia? 2.0

russia-grecia2Il 31 gennaio 2015, sempre su questo blog, scrivevo: “Sia che voglia rimanere parte integrante dell’Unione Europea,  sia che voglia far le valigie, la Grecia sa che non può privarsi dei rapporti economici con la Russia“. E ancora:  “Senza le dovute coperture alle spalle, un qualunque attacco a Bruxelles rischierebbe di ritorcesi contro la Grecia stessa. Aspettarsi quindi che in qualche giorno Tsipras risolva i problemi del paese e dell’euro, quasi come se avesse una bacchetta magica, è impensabile” [1].
A distanza di circa 5 mesi i rapporti tra Mosca ed Atene hanno subito una decisa accelerata.
Già ai primi di aprile, in un viaggio in Russia, il primo ministro greco aveva ribadito la sua contrarietà alle sanzioni volute da Bruxelles verso Mosca [2].
Con l’ultimo incontro avvenuto nelle scorse ore tra Alexis Tsipras e Vladimir Putin al Forum Economico di San Pietroburgo, in Russia, è possibile affermare che siamo di fronte ad un cambiamento nei rapporti di forza tra Unione Europea e Russia. Per non lasciare spazio a più o meno corrette interpretazioni, riporto qui di seguito quanto detto dal primo ministro ellenico [3]:

Siamo nel bel mezzo della tempesta, ma siamo un popolo capace di gestire il mare e la tempesta non ci spaventa, né la possibilità di scoprire nuovi oceani e raggiungere porti più sicuri

Risulta evidente da queste parole la volontà del governo greco di non voler chiudere nessuna porta. Tsipras ha poi proseguito il suo discorso definendo la Russia come “un’amica storica” della Grecia.
Non si può non citare inoltre l’appena confermato Turkish Stream, il gasdotto che partirà dalla Russia per giungere in Grecia, passando sotto al Mar Nero e sul territorio turco [4]. Il Cremlino ha già confermato che questo progetto verrà finanziato con un prestito pari al 100% dell’importo del gasdotto [5].
Sempre a San Pietroburgo Alexis Tsipras e Panagiotis Lafazanis, il ministro dell’Energia, hanno incontrato una delegazione della “New Development Bank” [6], la nuova banca fondata dai BRICS (nascerà ufficialmente il 7 luglio e avrà sede a Shanghai, in Cina [7]).
Incontri questi che dimostrano la volontà del governo greco  di non voler perdere, per nessuna ragione, il treno per il futuro.


[1] https://cercareilvero.wordpress.com/2015/01/31/in-costruzione-lasse-grecia-russia/
[2] http://www.repubblica.it/economia/2015/04/08/news/grecia_fmi_debito_russia-111437464/
[3] http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/19/grecia-da-san-pietroburgo-tsipras-avverte-europa-non-e-centro-del-mondo/1795284/
[4] https://pbs.twimg.com/media/CH3uetRWIAAbtC5.jpg
[5] http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2015/06/19/intesa-grecia-russia-su-gasdotto_4783c164-e395-4fed-80e9-df1dff178a32.html
[6] http://www.primeminister.gov.gr/english/2015/06/18/prime-minister-alexis-tsipras-meetings-in-st-petersburg/
[7] http://tass.ru/ekonomika/2051845

Cuba guarda al futuro

cubaLa creazione della Zona Especial de Desarollo Mariel (ZEDM), a Cuba, rappresenta certamente uno dei nuovi maggiori elementi  nella politica cubana.
Vedere in questo tipo di politica una “sconfitta” per il socialismo è miope e sbagliato. Anzi, molto probabilmente, sarà proprio questa zona a fare da volano per l’economia cubana. Brasile e Cina credono fortemente in questa iniziativa e fin da subito sono stati in prima linea per la promozione e l’uso dell’area messa a disposizione da L’Avana.
A fianco della ZEDM, grazie a ingenti finanziamenti brasiliani, è stato creato un porto che ha tutte le carte in regola per diventare un centro nevralgico del commercio in America Centrale.
Come si può leggere nel sito di Confindustria [1], nel 2014 sono stati presentati 221 progetti di investimento varati dal Governo Cubano riguardanti prevalentemente i settori: oil&gas, agroalimentare, turismo, energia rinnovabile, minerario e costruzioni [2].
Gli investimenti stranieri che avverranno nella ZEDM avranno alcuni vantaggi rispetto ai normali investimenti nel resto dell’isola caraibica [3].
Dopo il successo delle Zone Economiche Speciali nella Repubblica Popolare Cinese, dopo l’espandersi di tale pratica anche in Vietnam e in Laos e dopo l’ormai consolidato modello sperimentato in Bolivia da Evo Morales del socialismo di mercato [4], anche Cuba approda all’idea delle Zone Economiche Speciali in alcune aree strategiche del paese.
Indipendentemente dalla cessazione dell’embargo statunitense o meno, la ZEDM cubana ha enormi possibilità di successo davanti a sè.
Sicuri partner commerciali di Cuba potranno essere i paesi della Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC) [5]: essa comprende un totale di 33 stati per una popolazione complessiva di quasi 600 milioni di abitanti (dati 2011).
Il progetto cubano guarda a questo mercato, un mercato che sta registrando una notevole crescita economica negli ultimi anni.
La creazione del Canale del Nicaragua, un’opera del valore stimato di circa 50 miliardi di dollari [6], contribuirà a rendere il porto di Mariel un hub di primaria importanza nell’area caraibica anche per le navi che giungeranno dalla costa occidentale delle Americhe e dall’Asia [7].


[1] http://goo.gl/aY8nBJ
[2] https://cercareilvero.files.wordpress.com/2015/06/cuba_cartera-de-oportunidades_2014_esp.pdf
[3] http://www.s-ge.com/it/blog/cuba-apre-una-prima-zona-economica-speciale
[4] http://goo.gl/8zNrRS
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Comunit%C3%A0_di_Stati_Latinoamericani_e_dei_Caraibi
[6] http://goo.gl/O99BSB
[7] http://www.zedmariel.com/pages/esp/Ubicacion.php

Pechino: 900 miliardi di dollari per il progresso e lo sviluppo

shanghai 1Stare dietro alla tabella di marcia degli investimenti cinesi è sempre più complicato a causa della velocità e dell’enorme consistenza che questi hanno.
Una panoramica di questo enorme piano di investimenti promossi da Pechino l’ha tracciata il compagno Vice Primo Ministro Zhang Gaoli durante il vertice ASEM (Asia-Europe Meeting) in corso nei giorni scorsi nella città di Chongqing (link).
Saranno in totale sei i corridoi economici dove le attenzioni della Cina si concentreranno nei prossimi anni. Nel dettaglio:
China-Mongolia-Russia,
China-Central and Western Asia
China-Indo-China Peninsula
China-Pakistan
Bangladesh-China-India-Myanmar
New Eurasian Land Bridge.
Sempre nelle stesse ore la China Development Bank ha messo sul tavolo l’impegno di investire 890 miliardi di dollari in 60 paesi per dare forma alla Nuova Via della Seta. 890 miliardi di dollari che non saranno limitati alla realizzazione di strade, autostrade, ferrovie ad alta velocità e per il trasporto merci, porti, aeroporti, gasdotti, elettrodotti, etc., ma saranno anche investiti per sviluppare ed ampliare gli scambi culturali e la collaborazione tra paesi.
Il progresso e lo sviluppo di decine di stati passa anche, e soprattutto, per questa iniziativa che rappresenta probabilmente il più grande progetto economico nella storia dell’uomo dato che coinvolgerà, una volta terminato, circa la metà della popolazione mondiale

Il delirio del regime di Kiev: al bando il comunismo

partito comunista d'ucrainaA distanza di un anno dal colpo di Stato di Kiev compiuto con l’ausilio di numerose bande armate, alcune delle quali facenti parte della variegata galassia neofascista europea, il regime di Porošenko ha vietato simboli e diffusione dell’ideologia comunista. Tradotto: messa al bando del Partito Comunista d’Ucraina e sostanziale azzeramento delle celebrazioni (e quindi della memoria) antifasciste che hanno accompagnato il paese dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi.
Il soggetto politico più colpito da questo provvedimento sarà senza dubbio il Partito Comunista d’Ucraina, una delle principali forze politiche del paese.
Dopo il colpo di Stato il regime di Kiev ha costretto il Partito Comunista d’Ucraina ad una condizione di semiclandestinità. Attacchi alle sedi di partito, agguati ai militanti e arresti sono all’ordine del giorno nell’Ucraina “democratica” voluta a tutti i costi da USA e UE.
Come se non fosse abbastanza grave la messa al bando del Partito Comunista d’Ucraina, il divieto all’uso della simbologia e dell’ideologia comunista porta con se ulteriori conseguenze.
L’URSS contribuì come nessun altro paese al mondo alla sconfitta del nazifascismo. Tra civili, partigiani e soldati dell’Armata Rossa il popolo sovietico perse in quella guerra oltre 20 milioni di persone. Ancora oggi, per ricordare quella gloriosa quanto sofferta vittoria, ogni 9 Maggio sfila sulla Piazza Rossa di Mosca la bandiera recante la falce e martello dell’Unione Sovietica. Lo stesse cerimonie venivano fatte in Ucraina.
Per Porošenko e amici forse questo vuol dire poco o nulla ma di certo una gran parte del popolo ucraino ha ben presente le differenze tra una dittatura nazista e uno stato socialista.
L’assurdità totale di questo provvedimento è poi, oltre alla gravissima falsificazione della storia, che attualmente dei  neonazisti siedono su alcune delle più importanti poltrone a Kiev.
Massima solidarietà ai compagni del Partito Comunista d’Ucraina e a tutti gli ucraini antifascisti che conoscono bene la differenza tra l’orrore nazista e la falce e martello.
L’UE dirà qualcosa in merito? Speriamo. Personalmente ne dubito fortemente.

Sovranità e patria per la sinistra italiana del XXI secolo

italiaNoi difenderemo le vostre radici, i valori del popolo greco, messi in pericolo da politiche che rischiano di cancellarne l’identità“. – Alexis Tsipras

Fossero state pronunciate da un personaggio della sinistra italiana, qualcuno avrebbe già iniziato a farneticare di “rossobrunismo” o comunque di qualche altra deriva a destra. Invece no, lo ha detto Alexis Tsipras e quindi va bene; come va bene pure il suo governo composto da SYRIZA a dall’ANEL.
Sia chiaro, io approvo al 100% tutto quello scritto sopra, dalla frase di Tsipras alla composizione del suo governo,  ma è evidente come tutti questi elementi nella sinistra italiana provocano malumori.
Spetta ad una classe dirigente degna di questo nome riuscire a stabilire il giusto rapporto tra internazionalismo e questione nazionale. Sia il primo che la seconda sono essenziali per il progresso di qualunque nazione, e tanto più per un paese come l’Italia dei primi anni del XXI secolo.
La sinistra necessita di una strategia volta a far progredire il paese nel suo insieme: approfittare delle contraddizioni presenti in seno alla borghesia (si pensi al conflitto in Ucraina e al TTIP) per promuovere, da una parte l’identità nazionale e, dall’altra, la collaborazione internazionale (si pensi al grandioso progetto ormai in fase di costruzione della Nuova Via della Seta promossa dalla Cina popolare).
È necessario, inoltre, sfruttare tutte le fratture presenti nella società italiana, da quella religiosa (dirsi anti religiosi in un paese dove circa 5 cittadini su 6 sono cristiani non so se è sbagliato ma di certo è poco furbo) a quella tra centro e periferia dove il centro non è Roma, bensì Bruxelles e Washington.
Tutto ciò ovviamente non può andare a scapito della lotta di classe la quale deve viaggiare su un binario parallelo e continuo a quanto sopra elencato.
Renzi e Berlusconi si fanno portatori della difesa della patria, peccato che il primo stia consegnando l’Italia alle multinazionali (prevalentemente) statunitensi con il TTIP e il secondo si sia reso partecipe (assieme al PD) del massacro libico del 2011 compiuto dalla NATO, evento questo che sta avendo ancora oggi profonde ripercussioni sulla nostra nazione.
Sono questi i difensori della patria? Converrebbe non averceli!
O ancora, ricordando il pensiero di Mattei, non c’è indipendenza politica se non c’è indipendenza economica. Dobbiamo attendere che tutti i lavoratori d’Italia si uniscano per realizzare l’indipendenza economica o vogliamo raggiungerla anche mediante chi ,sì è borghese e detiene i mezzi di produzione, ma comunque ha interesse nell’indipendenza politica dell’Italia? Cosa viene prima?
Aprire una discussione su questi argomenti può essere utile, soprattutto in un momento in cui parole come patria e sovranità nazionale iniziano a farsi sentire pure nel variegato universo qual è quello del GUE/NGL (link).